Caro me stesso,
son qui per terra,
su un telo di sabbia.
Non sono caduto,
sono disteso.
Nemmeno abbattuto,
direi un po’ offeso.
Forse malato
di questo migrare
da un sole all’altro;
questo continuo volare,
questo incessante provare,
questo imprudente gridare
senza voler disturbare
e quindi frenare
un po’ tutto l’ardore;
sacrificare le ore
per un ambito clamore
e liberare l’umore,
il timore,
il pallore di un sogno,
il voler lasciare a tutti i costi un segno,
un deciso segnale,
un perché naturale,
dopo tanto vagare.
agostino guarino ©