L’esistenza senza confini
è quel cielo rifiorito
di finestre colorate
che si affacciano sul sole;
la prima notte tersa
sopra un prato profumato,
senza insetti fastidiosi
infiltrati tra le viole;
le parole che non escono
dalle lingue biforcute
o che non destano sospetti
ad orecchie suscettibili;
considerazioni acute
sugli aspetti di un incognito
che per alcuni resta indomito
e per altri non ha limiti;
le cascate rese fertili
da passati imprescindibili,
da mattini ancora timidi
e pomeriggi per il tè;
le domande sempre logiche
e le risposte meno tragiche
sopra aspettative statiche
di retorica viltà.
Con licenza mitologica
si potrebbe dire mitica
ogni forma di statistica
sia illegale che giuridica
che determini reazioni,
allusioni, condizioni,
che rimestoli coglioni,
che destabilizzi un ché.
Potrà essere scientifica,
oppure solo forma fisica,
quest’analisi un po’ atipica
di un andare qua e là.
Ci sarebbe da discutere
sull’appellativo inutile
di un fugace eterno esistere
in quest’era d’Instagram,
in quest’oasi dell’esistere,
di per forza di-mostare,
condividere, taggare,
messaggiare o di postare
personali situazioni,
esclusive sensazioni,
confidabili altrimenti
neanche al primo dei parenti,
stati d’animo mentali,
oggi messi sui giornali
sia di carta che virtuali
come cacche di animali.
L’esistenza forse, allora,
si riduce all’apparenza
di un tramonto o di un’aurora
senza una corrispondenza,
che sia presta o tarda ora,
lo sapremo al suo confine,
sulla frase che s’indora
al combaciare delle rime.
agostino guarino ©