Ogni giorno mi sveglio
e vedo solo foglie,
le solite foglie ippocastane
sbandieranti al sole.
Ora più forti, ora più scure,
ora più aperte, ora più chiuse.
Ora coperte da ali cornacchie
o da piccoli approcci amorosi
spezzati dal gracido acuto e violento.
Vedo solo le foglie muoversi
o assaporare il cielo.
Un cielo, per fortuna,
quasi sempre azzurro e benaugurante.
Il cielo dell’attesa.
Un’attesa lenta.
Un’attesa alla ripresa.
Una ripresa lenta,
ma pure sempre “ripresa”.
Una ripresa; un ricominciare,
un ritornare al giorno vivo,
fuori dai muri, fuori dai vetri,
per non vedere solo foglie,
ma l’albero intero, nel suo regnare,
con il suo letto ai piedi
e le radici affiorare;
con qualche cane intorno,
coi marciapiedi e i cancelli,
con i rumori del giorno
ed altri piccoli uccelli.
Una ripresa pacata,
senza bruciare le tappe.
Ormai bisogna cercare di gustare ogni attimo,
non sprecare più niente.
Nemmeno i minuti preziosi al telefono,
meglio guardare la gente,
tornare a parlare,
rimuoversi dentro.
Trovare la forza caduta in un buco
e tirarla fuori ridendo.
Ritornare al momento che ho preso il tuo viso
tra due mani bagnate e ci ho messo un sorriso
e continuare qualcosa che non sarà più diviso.
Ritrovare la forza non sarà così facile.
Non mi sento ancora pronto,
non ancora abbastanza agile.
Vorrei sudare di nuovo con l’impeto avuto
in qualche giorno passato,
come quando giocavo sdraiato
sul letto con te, fiato a fiato.
agostino guarino ©