È il 12 dicembre 2012.
Tra pochi giorni
forse si nasce,
forse si muore,
forse si torna ad essere persone.
Tra pochi giorni
forse qualcuno troverà riparo,
qualcuno vincerà la guerra,
qualcuno la paura,
qualcuno il paradiso,
altri le tenebre.
Tra pochi giorni
si riapriranno le porte della speranza,
dimenticate per lungo tempo,
dopo tumulti e smarrimenti,
dopo tragedie e spargimenti,
dopo regressi e smantellamenti,
dopo inondazioni e smottamenti.
Dopo.
È passato un momento.
È bastato un lamento
dal centro del silenzio,
dal perno dell’universo
-del nostro universo-
per stravolgere il malmenante andazzo
di una generazione disorientata,
di una rivoluzione mai avviata,
di una stabilizzazione squinternata.
Contenti voi!
Io non dico niente,
solo scrivo cose senza senso,
cose che mi svolazzano malamente in testa,
sull’onda obliqua, tracimante
e saporosa di rhum.
Cose da non ripetere,
parole da farne cartapesta,
in un’ora tarda di una notte gelida
a preparare il sonno ad occhi stanchi
e a braccia vuote,
che non hanno nemmeno voglia
di distendersi alla luna.
Una notte rigida,
come le sbarre di una prigione
o le matasse arrugginite in un telaio d’aquilone.
Un estremo bisogno di calore,
coltre viva di mare caldo e sole,
da sedare ogni sottile cerchio di timore,
di senso di destabilizzazione,
dal luogo più remoto dell’oceano
alle falde del più noto colle indigeno,
dal cuore della tundra più lontana,
al primo pomeriggio di questa accartocciata settimana.
agostino guarino ©