Lascio Venere da sola,
poco prima dell’aurora.
Entro qui per un momento
che non trovo più da tempo.
Troppo forte questa luce,
oltrepassa le mie rughe,
mano a mano che Ti provo avvicinare.
Non ho voglia di mostrare
le mie guance in arie cupe,
la mia rabbia che si cuce.
Vorrei fondermi tra i marmi
senza fare altri disegni
per fuggire a queste armi:
occhi, parole e questi legni,
fogge di colori scuri
su cui poggio le mie dita,
che mi aiutano a trovare metri duri,
con i quali misurare la mia vita.
Non cammino in questa rossa vena,
segnata di leggero da chi pena,
si affida e giunge a Te;
non vorrei sciupare i gesti a chi ci viaggia,
o a chi ha già un perché,
magari, assicurarti
o migliorare le mie arti,
raffinando sempre al meglio le viziose
e trascurando, per lo più, le doverose,
nascondendomi tra gli antri di passaggio,
affondando nel silenzio qualche cera di coraggio
che mi cola sopra i piedi,
ma, anche all’ombra, Tu, mi vedi,
mi conosci e mi riprendi dal dolore.
Io, provato peccatore, non mi muovo
e mi lascio perdonare,
come un timido animale
che fatichi a avvicinare.
Ora esco a ritrovare quello che rimane
di un’aurora avvelenata dall’immenso mare,
dai colori di quel sole
che non sto qui ad aspettare
per il freddo che mi fissa e mi pervade
e ritorno in fretta verso le mie strade.
agostino guarino ©
pubblicata sul periodico web Acta Diurna 2009