L’inchiostro è polvere,
un’illusione di fiato al vento
che si spazza via in un secondo,
in un lampo di un momento
che stridula sotto l’acida pioggia
meschina di favole irrisolte.
È l’ancora che schianta il suo peso
su uno scoglio di corallo fragile
e non resiste al peso delle onde
che trascinano come sacchi di sabbia
il suo rovente rugginare.
È polvere intrisa di sonno,
di lamento, di ricordo,
di sollievo e di respiro,
di silenzio e vago imbroglio
per un concerto di rondini sparite,
per un’indomabile paura di inattesi arrivi
di tempeste o di uragani
assetati di sangue,
affamati di quel poco di coraggio
che ci resta tra le mani,
negli occhi, nei nostri sguardi;
battiti di ciglia calde di un attimo
che, come marmotte in una bufera di neve,
si nascondono improvvise all’avvertire
di un pericolo nascosto,
forse del viso nostro,
che a specchiarci fa scappare,
da dove o da cosa
non sappiamo ancora bene,
ma è senz’altro qualcosa da evitare.
Uno scontro, un impatto
oppure soltanto un duello
o il rischio di essere disfatto,
impantanato o quasi sotterrato
dalla polvere che, col tempo,
a lungo andare,
seppellisce ogni ipotesi di sogno,
dai volteggi sulle cime dei deserti bianchi,
agli ondeggi di una vela sulle pianure di mare.
agostino guarino ©